storia vera

Ecco cosa succede quando giri un documentario sui medium.

Photo Credit: David Sifry via Compfight cc

Photo Credit: David Sifry via Compfight cc

Stiamo girando un documentario.

Che dico, dovevamo girare un documentario: una cosa imponente, corale, un affresco della vita lavorativa dei medium, con i momenti introspettivi di sguardo sulle vite vere degli uomini, con i campi lunghi in un ex-municipio semivuoto che servissero da contrappunto amaro e ironico.

L’ex-municipio – dove, da quasi vent’anni, i medium tenevano una tappa mensile della loro fiera itinerante – sarebbe stato sintomatico della decadenza di una piccola città di provincia e dell’affievolirsi del potere persuasivo dei sensitivi sulla propria clientela.

La sala principale, uno stanzone di un centinaio di metri quadri il cui centro era delimitato da nastri gialli per via del pavimento instabile, affacciava direttamente su un Mc Donald’s, un parcheggio vastissimo, e un locale che serve pollo piccante.

L’ex-municipio ha chiuso prima che potessimo fare nulla – ci costruiranno delle case. Pare che la maggior parte degli abitanti della zona abbia detto Meno male, faceva pietà.

Dovevamo girare un altro documentario: il confronto tra due medium, amici e colleghi, l’uno interessato a fare la vita comoda e votato al life-coaching, l’altro un militante dell’Aiutare Gli Altri Per Il Piacere Di Aiutare Gli Altri, I Soldi Vengono Dopo. Il primo a forma di faccia di Steve Guttenberg scolpita su un ortaggio, il secondo un’emanazione stressata di Doc di Ritorno al Futuro.

Eravamo entusiasti dell’idea, forse ci era scappata addirittura l’espressione «approccio dicotomico». Ne siamo stati puniti una volta giunti fino a Woking, nel Surrey, per salutare Doc Brown e accordarci sulle dinamiche dell’intervista. Lui evitava il discorso, lanciava occhiate per la sala, raccoglieva il coraggio per uscirsene a un certo punto con:

– Prima di parlarvi devo sistemare questi volantini.

Lo abbiamo osservato da lontano, nella sala vuota, accendere candele in due ciotole di alluminio e sistemare i suoi volantini. Erano stampati su carta patinata lucida, graficamente piuttosto avanzati rispetto a quelli dei colleghi; veggente e numerologo con più di quindici anni di esperienza offre ai clienti un trattamento professionale e caloroso. 

Mi spettava la parte del poliziotto cattivo, quel giorno, e mi sono avvicinata di nuovo al suo tavolo. Ci ha detto che ora dovevamo andare, aveva bisogno di un momento per raffreddare i nervi. Lo abbiamo lasciato con la testa tra le mani, e ci siamo allontanati lentamente lungo il tunnel del fallimento perenne, il corridoio di una scuola elementare a Woking, nel Surrey, e i suoi disegni di famiglie felici. Eravamo appena stati anteposti a dei fogli formato A5. All’uscita, ci pioveva addosso. Ci siamo fermati a mangiare un burrito piccolo.

Non si sa esattamente come, ma in qualche modo siamo arrivati a Julian.

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[Nessuno dei medium di cui si parla è, unicamente, un medium. Tutti i citati sono specializzati in chiromanzia, cartomanzia, chiaroveggenza, astrologia, numerologia, e in altri campi. Per semplicità, e per evitare il termine ‘sensitivo’, utilizzerò nella maggior parte dei casi medium. Ciò non significa che non sia una definizione inaccurata. Ah, e già che siamo sulle precisazioni, Julian non è quello che si suppone sia il suo vero nome.]

Non ho mai rinunciato interamente alla seconda idea. Il medium dei ricchi andava a ballare nudo a Bristol, aveva un’amica ”medium sessuale” che legge la mano in costume da bagno, e la sua idea di paradiso sensitivo era di portare i clienti da Harrods e dir loro cosa comprare. Aveva molti clienti celebri, ma per via del segreto professionale poteva rivelare solo i nomi dei clienti non più in vita, motivo per cui, senza che nessuno glielo chiedesse, aveva detto a bruciapelo: Amy Winehouse.

Il medium della gente bisognosa parlava di ‘vampiri psichici’, persone che si attardano più della mezz’ora accordata e prosciugano i poteri del medium con i propri problemi. Riferiva del bisogno di isolarsi completamente, negli ambienti affollati, per evitare il surplus di informazioni sugli estranei. Mi sembrava di rivivere Hereafter, questa volta senza dover vedere il film.

Molto tempo più tardi, ingelosito dal fatto che avevamo scelto un altro protagonista, Doc Brown ha insistito per leggermi i tarocchi in video. Cercava di rendersi interessante mandando avanti la sua luogotenente, una sensitiva con la passione per la fotografia, per convincerci. L’avrebbe fatto con dei tarocchi legati ai personaggi dei film – «molto appropriato, visto che ne state girando uno». Ho accettato subito.

– Sei un’amante degli animali – ,  mi ha detto.

– Sì.

– Soprattutto dei gatti.

– Soprattutto dei cani.

– Sì, soprattutto dei cani.

– …

– Al momento sei concentrata sulla carriera, e non pensi ad avere una relazione.

– Non è vero – ,  gli ho detto.

– Forse significa che non pensi altrettanto a una relazione.

Gli ho detto che interpretare il passato mi interessava più che scoprire il futuro.

Mi ha fissato freddissimo.

– C’è stata una certa disarmonia, in famiglia. Tua madre e tuo padre stavano per imboccare direzioni opposte, ma potrebbero essere rimasti insieme per comodità. I tuoi genitori sono ancora insieme?

– Mio padre è morto – , gli ho detto.

– Cosa? –

– Mio padre è morto.

– È quello che intendevo – , mi ha detto.

Non ha mai parlato dei tarocchi del cinema.

Julian si era da subito dichiarato disposto a partecipare.

Lo avevamo notato, in lontananza, durante i sopralluoghi: aveva i volantini scritti a matita, indossava un numero imprecisato di sciarpe, i potenziali clienti lo ignoravano. I medium lo ignoravano. Era, platealmente, il reietto, la ragazzina appena trasferitasi in un liceo popolato da arcigne ragazze pon pon, se le ragazze pon pon esordissero con «sei una persona creativa» e poi ti chiedessero trenta sterline per leggerti il futuro.

Non gli avevamo mai parlato. Sedeva lì, seduto dietro alle sue suppellettili occulte, con lo sguardo malevolo. Eravamo terrorizzati.

Ma aveva un sito internet che includeva il numero “666” e la traduzione inglese della parola “calcio”, nel senso dello sport. Nella firma dell’e-mail si definiva “Allenatore olimpico”. Come se non bastasse, era disposto a collaborare.

Julian vive in un condominio su una delle strade più centrali di Londra. La sua porta d’ingresso è una tenda di perline. Il giorno in cui siamo andati a incontrarlo per la prima volta, avevamo il terrore di arrivare in ritardo.

Ci ha accolti la sua coinquilina, una transessuale dai modi gentili che qui chiamerò Rochelle. Il salotto era in disordine, ma eravamo troppo spaventati dall’idea di fare bella figura per soffermarci sui dettagli. Julian ha cominciato, a occhi socchiusi, a parlare: un tempo lavorava presso un centro di ricerca e osservava i movimenti del mercurio. Suo padre era un ciabattino del Re, e saper prevedere la quantità di scarpe che avrebbero richiesto i reali era un po’ come il mestiere del veggente. Di recente aveva purificato la casa di una cliente, che da quel momento era stata molto meglio. Tre settimane più tardi era deceduta. Certe cose capitano anche quando cerchi di migliorare una condizione. Un giorno un tale gli si era presentato alla porta esigendo predizioni sulla propria fortuna e Julian gli aveva detto che un tasso si sarebbe rivelato importante in ambito lavorativo; quello gli aveva riso in faccia, al che Julian aveva potuto soltanto rispondergli: «Pagami metà ora, metà quando compare il tasso». Il tale era un ladro. Mesi dopo, stava rapinando una casa di campagna insieme a un complice, e qualcuno aveva chiamato la polizia. Stavano caricando tutto su un furgone, ma si bloccarono di colpo perché davanti a loro, inspiegabilmente, si era piazzato un tasso. Il tale aveva inviato a Julian cinquanta sterline dal carcere.

Julian aveva predetto la guerra del Kosovo quattro anni prima della guerra del Kosovo e stava scrivendo una pièce teatrale su William Lilly, l’astrologo che predisse il Grande incendio di Londra. Aveva lavorato a un documentario che aveva incassato più di centomila sterline. – Con i documentari non sai mai quanto successo di pubblico si possa avere – , diceva, – prendete per esempio The Blair Witch Project – .  

Era un generatore automatico di storie, e l’essere umano più noioso che potesse raccontarle. Noi volevamo girare un documentario sulla decadenza della piccola città e del mestiere dei medium. Poi, però, era successo tutto: l’ex-municipio stava per essere distrutto, il nostro soggetto fisionomico preferito ci evitava accuratamente, e Julian non ci aveva mai abbandonati.

Stiamo girando un documentario, e la casa di Julian è come la ricordavamo, con in aggiunta il vago sentore di una guerra batteriologica mai finita di combattere.

Sembra che nell’appartamento viva anche un uomo alto, calvo e col codino. Ce lo presentano come “L’Elettricista”. Ci sono parti di bikini calpestate sul tappeto del bagno. Su uno stendibiancheria in cucina sono accatastati tutti gli abiti della casa. Nelle scanalature degli elettrodomestici si accumula il grasso di decenni. In cima a uno scaffale c’è un pacco da undici confezioni di cappuccino decaffeinato identico a quello che ho a casa mia. Ogni superficie è cosparsa da soprammobili a forma di mucca.

Il più grande ostacolo alla sopravvivenza è costituito dall’odore di carta di giornale bagnata e cibo marcio nello scarico del lavandino. Incenso mal spento, cibo da frigorifero, piccoli peti.

Sul pavimento sono disposti quattro o cinque bollitori e caffettiere, non si capisce se costituiscano le punte di un pentacolo.

Il soggiorno è un anticlimax di tappeti, coperte e libri accumulati nel tempo. Julian gestisce due computer portatili. Rochelle siede di fronte al suo iMac e lavora sul codice CSS di una pagina web mentre tira boccate da una sigaretta elettronica. Di tanto in tanto, alzano lo sguardo su una replica di Star Trek TNG su un televisore da 80 pollici.

Sono passate tre inquadrature, e diciamo a Julian di prendersi tutto il tempo che vuole. Lui esce dalla stanza e si ritira in bagno, lasciando la porta aperta.

Gonçalo, il direttore della fotografia, è un portoghese dinoccolato che, generalmente, cerca di nascondere la sua tenerezza intrinseca mostrando male di vivere e continuando a giustificarsi dicendo «I’m just a dumb guy». Ecco Gonçalo che rientra dalla porta d’ingresso, guarda alla sua sinistra, sgrana gli occhi, poi prosegue verso di noi con aplomb. Cominciamo a sentire un cattivo odore. Nessuno apre bocca.

Dopo pochi minuti, Julian ricompare sulla soglia del soggiorno con i pantaloni alle caviglie. Ci guardiamo. Prende il coraggio lui:

– Chiamate il 999. Ho bevuto qualcosa che non dovevo bere. Ho bisogno di una lavanda gastrica.

Ci guardiamo, più immobili di prima.

Rochelle riemerge dalla camera da letto.   – Non è niente – , dice.   – Avrà solo bevuto una delle mie pozioni. –

Avrà solo bevuto una delle mie pozioni.

È tranquilla, dice che Julian deve solo stendersi e cercare di vomitare. Cerchiamo compostamente di mobilitarci, corriamo a prendere panini, bibite, qualcosa che induca il vomito. Julian scompare per un po’.

Passa del tempo, forse troppo, in cui cerchiamo di non essere d’intralcio e ci domandiamo con gli occhi quanto sia opportuno andarsene o quanto, invece, possa influire sfavorevolmente nell’indagine sull’omicidio di un uomo già instabile.

In bagno Rochelle mi rivela che Julian ha bevuto giusto un goccio di nicotina liquida. Troppo spesso tocca le sue cose – «e ogni ragazza ha i suoi segreti» – evidentemente stava cercando dell’etanolo puro da bere, come fa sempre. Le do una pacca rassicurante sulla spalla; muoio dentro.

Ci rintaniamo sul terrazzo, incerti se chiamare un taxi per l’ospedale, quando percepiamo la presenza di qualcuno. Sembra modellato con l’argilla, e ha vomito su tutta la camicia. Julian non è mai stato così positivo:  – Tra poco sto meglio e giriamo – , ci dice.

In quel momento ci rendiamo conto che dobbiamo andarcene, e molto lontano, che niente è più importante del benessere di quell’uomo un po’ disgustoso, e di certo non lo è un documentario.

È in quel momento, però, che Rochelle domanda a Internet, e Internet risponde: Julian ha bevuto 480 millilitri di nicotina liquida — 60 millilitri sono letali per un non fumatore, 120 lo sono per un fumatore. I paramedici stanno salendo le scale.

Più che dal numero di persone presenti nell’appartamento, sono straniti dall’appartamento. Ci domandano cosa facciamo lì.

– Stiamo girando un documentario.

– Su di lui? Chi è?

– È un sensitivo.

– Ah, ok.

Julian viene portato via senza barella mentre noi mettiamo a posto l’attrezzatura, a testa bassa. Lasciamo l’appartamento uno dopo l’altro. L’Elettricista ci saluta dicendo, – speriamo non muoia – .

Piove di nuovo, come in ogni momento di sconfitta del progetto, o più che altro come in ogni momento. (Siamo in Inghilterra: i fenomeni meteorologici se ne sbattono le palle degli stati emozionali).

Parliamo poco. Chi viene a sapere della vicenda ci maledice perché non abbiamo filmato nulla. Noi ci eleviamo alle Creature Etiche che sappiamo di non essere e, nelle pause, pensiamo alla strada da imboccare a livello pratico.

Il pomeriggio successivo ricevo un SMS. Comincia con Hello e due faccine sorridenti. Suggerisce un orario per andare a filmare.

Al momento Julian è in cerca di un bassista.

Photo Credit: Nick Douglas via Compfight cc

Photo Credit: Nick Douglas via Compfight cc

Laura Spini scrive per Vice e Rivista Studio. Traduce racconti e siti web. L’unico romanzo che ha tradotto è Player One. Sporadicamente aggiorna Tumblr dei morti. Non è la sua omonima su Google vittima del raggiro di una santona.