Benvenuti nel mondo di A 13 anni ne avevo 90, la rubrica in cui Daniela Losini ci racconta perché, di preciso, a 13 anni ne aveva 90.
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A 13 anni ero già vecchia, sono sempre stata vecchia, cosa volete che mi stupisca che a 13 anni ne avevo già novanta è una frase che dico e scrivo molto spesso. Dico 13 per semplice comodità di racconto perché 13 anni è l’età in cui uno sa che cominciano i casini. Se dici 11 non ti credono perché come fai ad avere memoria delle cose che ti sono successe a 11 anni? Se dici 12 è come dire un numero qualsiasi. 13 invece fa la differenza.
Di sicuro il malessere è cominciato molto prima. Ho iniziato a tenere un diario dopo i 13 anni, quando ho deciso che la sofferenza poteva essere raccontata almeno a me stessa. Scrivendo stavo meglio di prima, e il prima erano stati due anni di inferno puro e completo nel quale sono riuscita a mettere ordine solo a 25 anni con una terapia cognitiva adeguata.
Ho cercato di ricostruire attraverso i miei diari e spurgando bene i ricordi con la terapista cosa mi avesse provocato la terribile depressione nella quale caddi dagli anni 11 ai 13 anni e che mi costò un disturbo che si chiama TTM, tricotillomania, parecchi acting out, una rabbia radicatissima e molto altro che ho smesso di conteggiare in modo ossessivo quando ho capito che dovevo farci pace.
Ora voi capite bene che se a 13 anni sai esattamente che così male non ti ci vuoi sentire più passerai gli anni successivi a cercare di schivare ogni dispiacere, perché, dato l’ordine di cose che hai dovuto sopportare in un’età nella quale l’unica cosa da pensare dovrebbe essere mi metto i calzini blu o quelli rossi, hai – come dire – un credito enorme con la spensieratezza. Ci sono volte che mi mancano le forze tutte d’un botto al pensiero di quello che mi è stato portato via.
L’evento traumatico l’ho individuato nella notte nella quale io e mia sorella venimmo portate via dalla casa di nonna e nonno. Andiamo per gradi e il grado uno, il ground zero, l’asteroide catartico è questo: mio nonno era il classico tizio dalla doppia personalità, una cosa da rimanerci secchi quando l’ho scoperto e credo di averlo capito bene quella notte. Dormivamo nella stanza accanto a nonna e nonno per prova perché si abitava in una villetta a due piani noi sotto, loro sopra e sotto non c’era la stanza in più. Qualcuno aveva detto, portate pure su le bambine, e mia madre non era per la quale ma disse proviamo. Per qualche giorno tutto a posto ma poi successe una notte che mi alzai perché avevo sete, 10 anni, ero una rompiballe, ero una bambina, quante volte si alzano le persone di notte per qualsiasi motivo no? Insomma mi alzo e vado da nonna a chiedere l’acqua e c’è trambusto e mia nonna che mi dice shhhh e tutto di colpo mio nonno impazzisce inveendo contro di me dicendo parolacce, dandomi titoli inerarrabili, buttandomi addosso l’uragano katrina, caronte, lo tsunami del 2006, lammerda di gomorra e il vomito di sodoma, i figli di shelob e i denti di un kaiju. Succede la seconda guerra mondiale, mia madre sale le scale e mentre lei prende me e mia sorella e mio padre urla contro il pazzo sento qualcuno che dice che cercheremo casa altrove.
Qui di cose ce ne sono molte di più di quelle che si dicono. C’era una tremenda instabilità domestica condita da violenza e minacce che scoprirò poi essere il quotidiano di mia nonna e delle persone che vivevano o che hanno vissuto con lui sotto lo stesso tetto.
Tornando al presente: mia nonna ha divorziato a 60 anni e quella bestia di mio nonno è morta sola come doveva essere e io non mi sono sognata manco di andarlo a trovare sul letto di morte come invece alcune altre persone che lui ha chiamato puttane oppure picchiato ci sono andate, ma capite che ognuno ha i suoi metri di sopportazione. Io ho fatto una cosa incredibile per lui quando è morta sua figlia (mia madre) perché nessuno glielo aveva detto che era morta. Si sono semplicemente dimenticati di dirglielo. Mia madre gli aveva detto sono in ospedale per una polmonite. Poi la bestia una domenica mattina va nel suo bar del paese dove vive e gli fanno le condoglianze. Lui impazzisce chiama mio zio e sono lì con lui mentre riceve la chiamata.
Gli ho scritto una lettera dicendo di vergognarsi ogni giorno della sua esistenza per tutto il male che aveva fatto alla nostra famiglia ma che sua figlia alla fine gli voleva bene e se non gli aveva detto la verità sulla sua salute un motivo c’era e che doveva fare il santo piacere di rispettare questo suo volere senza fiatare. Sapevo anche che lei in qualche modo avrebbe voluto salutarlo. Fatto questo gli ho anche scritto: non ci provare nemmeno morto a cercarmi perché io non voglio sapere niente di te, stai a casa tua per favore. La lettera gliel’aveva portata mio zio e so per certo che non ha detto niente di niente e che ha pianto. Spero che quelle lacrime gli siano bruciate sulla faccia come acido muriatico.
Ma torniamo ancora indietro: c’è il dopo quella notte. C’è l’aver davvero cambiato casa in poco tempo. Io volevo bene al nonno, mica capivo cosa avesse nel cervello e che tutto potesse cambiare così in fretta e per un po’ i nonni non li ho visti. E mi sono sentita mortalmente in colpa. Potevo mica dormire quella notte? Era colpa mia tutto quel disastro. Ho iniziato a tormentarmi nell’attesa che l’angoscia calasse, aspettando Capitan Harlock sulla nuova finestra di casa che dava sugli alberi e che mi pareva fosse così vicina alle stelle. E invece niente, oh. Non veniva nessuno, nessuno mi diceva niente e io morivo di paura e di ansia. Chiedevo spiegazioni e la risposta era “non è successo niente”. Così è diventato tutto un muro altissimo di non è successo niente. Anche quando nonna sparì per dieci giorni e nessuno sapeva dove fosse. Scoprii poi che dovette farlo per non farsi ammazzare di botte da lui. Sono iniziate le medie e mi ricordo sempre una frase che diceva mia madre: sei sempre stata una bambina così spensierata e contenta cosa ti è successo. Oggi le risponderei ma fai un po’ te. Allora avevo solo un enorme groppo in gola.
Poi ci sono state tante altre cose – anche divertenti – che ho imparato in quei due anni dove invece di averne 11 e poi 12 e poi 13 ne avevo 90, durante quella depressione rimasta per molto tempo senza nome e la TTM alla quale si pensò bene di rispondere con un dermatologo (potete applaudire all’enorme e straordinaria capacità di rimozione della mia famiglia grazie) ma ve le racconto la prossima volta – forse e se mi va – perché ora che mi sento finalmente giovane me la devo anche godere un po’ questa vita, no.
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Daniela Losini è nata in provincia di Como ma da più di dieci anni vive a Milano. Ha pubblicato racconti di narrativa e fa parte dell’associazione culturale Tessere Trame. E’ stata una cineblogger a partire dal 2004; come giornalista ha scritto di cinema, costume e beauty. Per la legge del contrappasso, scrive anche su Post-It abbandonati per casa che per fortuna nessuno mai leggerà. La trovate su Twitter e sui principali social network come daniela_elle.