Detesto Il Tempo delle Mele.
La prima volta che lo vidi ero una bambina. E una parte di me si convinse che una volta cresciuta sarei stata una teenager alla Sophie Marceau. Una ragazza semplice, una di quelle che va alle feste. Frangetta disinvolta, faccia pulita, intricate vicende amorose. tante amiche e due genitori superapprensivi ma in fin dei conti teneri e cari.
La mia adolescenza fu tutt’altra cosa. Ho pianto tanto. C’è stato un periodo in cui indossavo la sciarpa in modo che mi coprisse la faccia fin sopra il naso e più il mio viso era nascosto e meglio mi sentivo. Non uscivo di casa se non per andare al videonoleggio o al cinema. Ho avuto la fase da trucco e parrucco alla Robert Smith e anche quella più imbarazzante alla Avril Lavigne. Avevo una sola amica, la migliore, ma comunque una sola. I miei genitori mi ignoravano e io mi sentivo Allison di Breakfast Club, ma senza il gioco della forfora sul disegno. La forfora non l’avevo. Almeno quella. Niente feste. Niente Dreams are my reality na na na na naaa reeeeeeality. Una vita sentimentale e sessuale inesistente. Registravo le puntate di Buffy che Italia 1 trasmetteva a notte fonda, giocavo a Final Fantasy e leggevo shojo manga.
Una reietta, ma pur sempre una reietta con quel certo bagaglio culturale.
Ho 25 anni, e sono più adolescente ora di quanto lo sia mai stata a 16.
La me stessa che andava in giro con la maglia XXL di Kurt Cobain non avrebbe mai ascoltato Red di Taylor Swift a ripetizione per giorni, finendo poi a cantare I Knew You Were Trouble di fronte allo specchio, nel periodo di consegna della propria tesi di laurea. Lei non avrebbe seguito la trilogia di High School Musical, e non proverebbe alcuna nostalgia, lei, per i pomeriggi di università passati a cantare Bet On It con gli amichetti cercando di metterci la stessa intensità e convinzione. Sì, anche nella scena con Troy Bolton che canta di fronte al suo riflesso.
Il mio guardaroba è fermo alla sempreverde combinazione maglietta, jeans e scarpe da ginnastica, Converse o Superga. E la mia vita sentimentale è bloccata alla sindrome da Jake Ryan. Aspetto che il ragazzo che mi piaccia venga a sapere dei miei sentimenti e che si faccia trovare fuori dalla chiesa dove si svolge il matrimonio di mia sorella, mio fratello in questo caso, per poi confessarmi il suo enorme amore di fronte a una torta di compleanno.
Aspetto che sia lui a venire da me.
Aspetto.
Aspetto.
Ah, e in questi giorni sto anche attraversando la fase da scrittore adolescenziale-motivazionale. In pratica sono in fissa con John Green. Sono pronta a comprare qualsiasi gadget di The Fault in Our Stars. I suoi libri li ho già presi tutti e passo i pomeriggi a cercare sue gif su Tumblr.
E questo ci porta al giorno della discussione della mia tesi di laurea magistrale. Una tesi sul sistema dei media coreano, la Korean Wave e altre cose simili. Sì, si parlava anche di Gangnam Style.
Di solito la discussione di laurea si svolge in una giornata in cui ci si veste bene e si finge di essere delle persone a modo. Nonostante la copertina fucsia della tesi (perché Elle Woods ci insegna che possiamo amare il rosa ed essere giovani donne indipendenti e forti) e nonostante la tradizione voglia che terminata la discussione si corra come cigni imbizzarriti sul prato interno ai giardini dell’università.
Quel giorno, accanto ai miei genitori, ai miei amici del cuore, ai compagni di università e alla mia amica coreana, c’era Zayn Malik.
Il cartonato a grandezza naturale del cantante degli One Direction si è palesato di fronte a me accompagnato dagli stessi amici che ai tempi cantavano Bet On It. Nel giorno della mia discussione di laurea. A ventiquattro anni.
Dignità, sempre dignità.
Zayn è stato con me durante la proclamazione, le foto, la corsa sul prato, il brindisi e anche al ristorante, quando è stato posizionato di fronte alla vetrina del locale in modo che potesse accogliere con un sorriso ammaliante i passanti.
Poi ho sollecitato il tassista a riporlo con cura nel bagagliaio dell’auto e l’ho fatto sentire importante cantando Let’s go crazy, crazy, crazy ‘till we see the sun. Così, di tanto in tanto.
(Forse qui dovrei dirvi che nel periodo di scrittura frenetica della tesi avevo pure inventato una canzoncina motivazionale cambiando il testo di Live While We’re Young. Non ve lo dico.)
Insomma: ho avuto una discussione di laurea che qualsiasi directioner si sognerebbe. E, di fatto, non sono nemmeno una directioner.
Zayn è ancora qui, in camera mia, a casa dei miei genitori. Il suo sguardo è rivolto lontano. Ogni tanto gli parlo o gli canto qualcosa; a volte lo uso per fare delle irresistibili gag con gli amici o per spaventare mia madre quando decide di entrare nella mia stanza.
Non ho avuto l’adolescenza che sognavo, ma forse è stato meglio così.
Oggi ho il mio cartonato degli One Direction, e per qualsiasi futuro momento di sconforto Zayn è lì, pronto a ricordarmi che la dignità è una cosa sopravvalutata e che Il Tempo delle Mele è un film orrendo.
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Chiara Spinelli si è laureata in Comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse. La potete trovare su Twitter.
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