Benvenuti a “Ain’t No Pretty”, dove la cantante pagata per cantare Serena Vittoria Braida ci racconta tutte le cose orripilanti che possono capitare a una cantante pagata per cantare, e infatti capitano. (vb)
La fotocopiatrice si inceppa al primo tentativo. Il Basso viene a dare una mano, apriamo tutti i cassetti. Inceppamento nel cassetto 3. Solo che su nessun cassetto c’è scritto cassetto 3. Il Tenore e il Soprano chiacchierano aspettando le parti. Il matrimonio prima sta per finire e io sono in charge per quello dopo. Mancano 25 minuti e non abbiamo ancora iniziato a provare. Dribblo invitati random nel chiostro. I miei tacchi fanno un rumore infernale e devo fare la pipì. Ora. Ma non c’è tempo. Trovo il nuovo rettore appena insediato. Mi fa fare le fotocopie. Si chiama Joseph, o Jack, O’something. Il vecchio rettore era come mia madre descriverebbe un prete. Severo, rompipalle, coi vestiti odoranti di chiuso. (Ok, questo è come io descriverei un prete).
J. invece è più accattivante. Durante l’omelia, mentre io leggo Zadie Smith sullo smartphone, lo vedo che prende le mani degli sposi, e dopo le firme, dopo il mio stucchevole brano solista, incita una platea di invitati romani all’applauso (orrore). Loro pare se la facciano nelle mutande per la commozione. Zie e grosse cugine piangono. Durante la prova avevamo deciso di tagliare Handel. Arriviamo fino a battuta 30, così il soprano si evita tutti i king of kings con quei re ribattuti che alle 19 di sabato pomeriggio ti fanno passare la voglia di vivere, soprattutto se il tuo diaframma è un po’ pigro. L’ultima volta che ho cantato solista ad un matrimonio c’era quel pezzo spaziale con il testo dal Cantico dei Cantici e la melodia che sembrava di essere nel deserto del Sinai (e se penso a deserto del Sinai mi parte la fantasia su uomini alti mori e col cavallo bianco che mi portano via per fare roba ardente dentro una tenda). Stavolta invece mi hanno incastrata con Dolce Sentire, che va cantato con una certa leggerezza perché è appunto stucchevole. Così attacco il pezzo assumendo quel sorriso lieve da pacata partecipazione al lieto evento (sto recitando, niente di meno), quella cosa del tipo – non ruberò la scena ma sarò soave e farò piangere tutte le tue zie – e durante il pezzo succedono le due tipiche cose che succedono sempre. Ovvero, i due (tre, quattro) invitati di varie età, con varie gradazioni di stempiatura che ti hanno puntato più o meno dall’inizio della cosa ti puntano DI PIU’. Un po’ come quando ci sono i seminaristi (alcuni giovanissimi) e c’è n’è sempre almeno uno che inciampa nei suoi stessi vestiti se gli fai un sorriso. Un probabile zio in particolare è così sicuro del suo sex appeal e così convinto del suo diritto solare di maschio su ogni donna attraente che se incroci il suo sguardo libidinoso fa una faccia assolutamente comica del tipo ci vediamo dopo piccola.
La seconda cosa che accade è che i fotografi (che sono tipo 10, il che mi porta a domande tecniche su cosa è veramente necessario) ti piazzano un potentissimo flash a tre centimetri dal viso proprio nel momento clou del pezzo, metti sull’acuto. E puntualmente ti distraggono e devi rubare qualche secondo prima di riattaccare (ma siccome sei esperto lo fai sembrare una pausa di effetto). Sono anche leggermente fotofobica, e fa un caldo infernale. Loro continuano a spargere incenso e tu canti mezza fatta, sicuramente raffreddata. Quasi tutte le invitate hanno vestiti di raso in colori cangianti e l’acconciatura boccolo finto + frangetta liscia, il che fa sorgere altre domande.
Mi fanno molto sorridere una serie di fatti. Il primo è quello solito, un’atea anticlericale intrappolata nel corpo di un cantore sacro tot giorni all’anno (sò pochi ma sossoldi, e la musica è stupenda). Secondo, tutta questa abbuffata di matrimonio e coppie e forevah and evah e discorsi sulle pressioni sociali, e dall’altra parte la mia vita privata proprio adesso. Ossia imbarazzanti ore notturne e ancora quella qualità postventenne e inebriante e necessariamente cinica (nonostante anni di militanza nel settore più una convivenza disastrosa a vent’anni secchi) alla non dovremmo, se non abbiamo funzionato prima non funzioneremo ora, o hey, ti ho appena conosciuto e mi domando quale sia il tuo approccio ai capezzoli. (Il mio è: nel dubbio, mordi). Poi il matrimonio finisce e noi veniamo pagati e sgattaioliamo fuori dove c’è il chiostro e un’ambasciata orientale e ogni volta che ci passo immagino anche dei salici. E tutte le volte questi salici inesistenti frusciano nella mia testa, e mi fermo un attimo a riflettere su dove ho parcheggiato la macchina.
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Serena Vittoria Braida canta da quando aveva 6 anni. Dopo la laurea in Storia nel 2011 ha fatto per un po’ la spola tra Roma e Londra, dove vive attualmente. Si occupa di poesia, canto e postfemminismo. Twitta più o meno di questo.