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Ho capito a cosa servono i telefoni fissi.
Certe notizie hanno bisogno di uno squillo normale, di una cornetta da alzare. Tu non suoni nemmeno, ho la vibrazione, ancora peggio.
Rispondo, non è chi dovrebbe essere, è un amico comune che si aspetta di trovarmi in lacrime, distrutta, invece non so nulla. Hai avuto un incidente in motorino, all’altezza di Caracalla, ti sei rotto tutto, sei in coma farmacologico, sei vivo ma non si sa.
Sei vivo, ma non si sa.
Ragiono sull’inconsistenza della frase, intanto lentamente, mi preparo a impazzire.
Caracalla, mille altre volte. Quella sera in moto prima che te la rubassero come tutti gli altri tuoi mezzi di locomozione, tu che corri e mi prendi in giro sotto il casco integrale, io che mi cago sotto con il casco viola di Barbie. Mi annodi le mani davanti a te, ma ho le braccia corte e mica è facile.
Mi alzo, faccio avanti e indietro, non respiro e cammino, divano, poltrona, tavolo, cucina, piango forte, piango tanto, bestemmio dio moltissime volte, passo davanti allo specchio dell’ingresso, quindi è questa la faccia del terrore? non mi pare adeguata. Mi ripeto come un mantra tre parole inutili , – potevi essere morto – , ancora non so che lo farò per la settimana successiva e che non mi confortano nemmeno lontanamente. Tutto rotto, femore, bacino, braccio, zigomo, naso, un bel po’ di ematomi in testa, piccoli e sparsi, i medici tengono sotto controllo la tua attività cerebrale per evitare che la situazione peggiori, perciò sei in coma, sennò saresti sveglio. – Sennò saresti sveglio – , altro mantra, altre tre parole. Stesso effetto, come sopra.
A Salina quando la medusa ti ha preso in pieno, ti coprivi il braccio con la mia bandana, smadonnavi ma non sentivi dolore, solo fastidio. Guardavamo tutti a colazione l’incavo del tuo gomito pieno di bolle e crosticine, faceva schifo, intanto mangiavamo cereali e avanzi della mia cheesecake allo yogurt. La sera giravamo come dei papponi sul defender, avevi un cd con “Fast Car” di Tracy Chapman, cantavamo solo il ritornello.
Telefono agli altri, parlo e non respiro, ho il terrore di non essere tra le prime dieci persone che si chiamano in caso di emergenza, è una specie di gioco di forza tra l’egocentrismo che mai mi abbandona e l’essere la sorella gemella del mondo, ho paura che non ti sveglierai o che non parlerai, avrai perso la memoria, paralisi, ospedali, sedie a rotelle, sarai mai di nuovo bello come sei? Mi faranno entrare al San Giovanni a quest’ora di notte? Aspettiamo, – non sappiamo nulla – . E tuo padre, povero cristo? e Linda? Nessuno mi fa preoccupare come te, forse solo Corrado, del resto siete uguali.
Nel frattempo non ho nessuno accanto, il mio ex ragazzo è il tuo migliore amico e gli ho appena urlato al telefono che è uno stronzo, non capisco se devo chiamare gente che faccia bene a te o a me, qual è la priorità? sono in una casa che non è la mia, mi viene da vomitare, non ho cibo, non ho acqua in frigo, quasi vorrei mia madre, per farti capire il delirio.
La sera che abbiamo litigato, mentre vedevamo l’Isola dei famosi, io seduta per terra, tu sul divano con gli altri. Parlavamo di De André e di politica, tu hai sbroccato non ricordo il motivo, mi hai detto che mia madre va alle feste del PD, cosa che tra l’altro purtroppo è vera. Il giorno dopo mi è arrivato un messaggio: – Vengo a vedere il GF, così litighiamo di nuovo – .
Seduta sul divano, le gambe larghe nei pantaloni a fiori, i primi calzini della stagione e niente forze, come se mi avessero massacrata di botte. Guardo una crepa del baule davanti a me, penso alla polvere che ci si infila dentro e a come potrei pulirlo, forse con un cottonfioc, devo ricordarmi di annaffiare le piante e tu potevi essere morto. Ora chiamo l’ufficio del personale, dico che domani non vado al lavoro, sposto la riunione e avverto mia sorella e tu sei vivo, ma non si sa. Qualsiasi cosa mi venga in mente non dura che per due o tre pensieri, poi tu sei in coma e ricomincia il loop, i singhiozzi, le colpe, la paura, il controllo, l’impotenza. Mi richiami a un ordine che non esiste, soprattutto con te, il contatto con questa realtà non lo so gestire, mi sento l’acqua nel cervello e ho paura di un attacco di panico che non avrò. Fisso dei punti random, la multipresa con la carica del pc, la macchia sul termosifone, lo scontrino di un paio di anfibi di Zara che portavo oggi, il pacchetto di sigarette.
È il giorno prima del mio ultimo compleanno, sei tutto contento perché ho iniziato a bere e fumare, se imparassi anche a girare le canne sarei davvero la migliore amica che hai. Parliamo di una tipa cretina, andiamo in motorino alla rosticceria cinese, beviamo un campari spritz, vediamo I Griffin, ti cazzio perché un uomo di 30 anni non può non avere il sapone in bagno e sperare che una donna se lo prenda, tu mi
mandi a cagare e mangi il cocomero che ho voluto comprare per forza.
Mi esplode la testa, mi sdraio sul divano più grande, mi sembra offensivo mettermi a letto e comunque non ci riuscirei, rifiuto ogni comodità e rassicurazione, sto dritta, occhi aperti, il collo della maglietta bagnato di lacrime, aspetto che faccia giorno.
Mi addormento per un’ora e mezza. Non sogno te, né altro.
Potevi essere morto.
Invece sei vivo, ma non si sa.
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Daniela Collu vive e lavora a Roma. Ha un blog, Stazzitta.
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