C’è qualcosa di peggio di incontrare sulla vostra strada qualcuno che dice “ho fatto un sogno, te lo racconto”? NO! Non c’è. Benvenuti quindi a Ho sognato che sognavo, dove voi raccontate i vostri sogni senza darci il tempo di fuggire. (vb)
Autunno 2012.
Andrew Garfield è uno stagista a Studio, o forse è un mezzo redattore. Si presenta tutto emozionato e gentile a casa dei miei genitori – forse bussa alla porta, forse suona il campanello – per piantarmi due grandi occhioni in faccia e poi comunicarmi di persona che finalmente se ne è andato da Studio. Questo significa che finalmente possiamo scopare ed essere felici insieme, visto che prima avevamo entrambi il blocco sociale dell’essere impicciati con la collaborazione a Studio. Anzi, aggiungo con un sospiro di sollievo, oh dio ti ringrazio, però guarda che ero prontissima ad andare via io, SAPPILO.
Tuttavia, invece di metterci a scopare, o almeno a infilarci mani e polsi sotto i rispettivi strati di abiti (lui porta un maglione scuro sopra una camicetta grigia raffinatissima, tipo), io e Garf restiamo seduti sul bordo di un divano, tenendoci forse un po’ la mano, a rivangare tuuutti i momenti in cui uno dei due ha mai pensato che l’altro/a fosse carino. Ma tu quella volta mi hai guardato? Sì, io quella volta ti ho guardato. No, sì, anch’io, sai. Tutto così.
Forse Andrew Garfield non era Andrew Garfield al 100%, ma un ibrido tra Andrew Garfield e Jean-Ralphio, cosa che, a tutt’oggi, mi pare un ottimo compromesso.
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Primavera 2013.
Conosco Jesse Eisenberg a una festa piena di gente che balla e si diverte. Solo che Jesse Eisenberg, invece di essere la palla di nevrosi del 90% dei suoi film, è un allegrissimo attore cialtrone che mi batte dei pezzi spaventosi, ma proprio hey babe, senza ritegno. Mi confonde, mi piace un sacco. Lungo la strada che ci porta lontani dalla festa e vicini alla casa di lui – e qui siamo in tutto un ininterrotto mani sul culo hey babe andiamo da te o da me?, andiamo da te che non dobbiamo prendere il raccordo – io e Jesse Eisenberg finiamo fermi in piedi davanti all’ingresso di un luogo che somiglia a un pronto soccorso. Chiediamo informazioni a una ragazza sui vent’anni – maglione tipo Oviesse, minuta, capelli chiari – e scopriamo che è una clinica dove si distribuiscono profilattici, si fanno visite specializzate, si praticano aborti. La ragazza è lì per l’ultima cosa. E’ da sola.
Entra.
Jesse si volta, mi guarda e fa, – possiamo aspettarla, così poi le diamo un passaggio.
– Non ti dispiace?
– No, a te?
– No, no, ma la macchina è tua, decidi tu.
E lui, con la faccia più pulita del mondo e con la voce STRAconvinta, dice: – lo sai, fin da quando ero un ragazzino mia madre mi ha sensibilizzato molto sull’argomento, i diritti riproduttivi di voi donne sono una cosa intoccabile e dobbiamo impegnarci tutti perché siano rispettati.
Perciò, invece di andare a scopare, io e Jesse Eisenberg ci baciamo nell’ingresso di un ospedale, aspettando che un’estranea finisca di abortire.
Il mattino dopo ho telefonato a Chiara Lalli.
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Autunno 2013.
Un certo numero di anni dopo gli eventi narrati nel film, Eduardo Saverin e Mark Zuckerberg sono andati a convivere. Guardano la televisione in un soggiorno arredato a strati. Io li osservo da fuori e penso, è bello che quei due ragazzi là abbiano trovato un modo di stare insieme.
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Violetta Bellocchio di recente ha ammesso di trovare “GIGANTESCHE potenzialità romantiche, oh, inesplorate, eh, capito come” nell’esperimento carcerario di Stanford.